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h-farm innovation becomes maize
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H-FARM Innovation becomes MAIZE.
It’s still us: same spirit, but new ambitions
and a different name.
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Crew Supersonic → Che suono ha l’identità del tuo brand?

Come ci siamo imbarcati nella missione di rendere l’audio branding comprensibile anche ai non addetti ai lavori, creando un processo che dalla ​​psicoacustica approda nel branding.

Valentina Lunardi
Valentina Lunardi Specialist, Consumer Insights Strategist & Researcher
Aprile 1, 2022
  • Audio Branding

Per molto tempo siamo stati una società incentrata su un solo senso, quello della vista. Se pensiamo ai brand e alla loro comunicazione, a come li esperiamo e viviamo, le immagini sono l’elemento caratterizzante e primario nella nostra mente.

 

Eppure da qualche tempo qualcosa sta cambiando: il suono ha guadagnato la nostra attenzione in un modo diverso, facendosi largo tra i nostri schermi grazie a nuove esperienze audio (pensiamo ai podcast ma non solo), alla voice technology e a esperimenti sempre più frequenti che mostrano come le nuove esperienze di brand potrebbero diventare più olistiche e multi-sensoriali.

 

E non si parla qui di semplici espedienti di marketing per attirare quella merce ormai preziosissima che è l’attenzione degli utenti. Davanti a un mondo di consumatori più consapevoli, connessi e protagonisti, ci piace pensare che la risposta delle organizzazioni non possa essere cavalcare l’hype del momento, che sia lanciare una branded skin nell’ultimo gioco di simulazione o colorarsi di arcobaleno al momento giusto dell’anno, ma lavorare sulla propria ragion d’essere, sulla missione che si prefiggono non solo materialmente attraverso la loro offerta ma anche valorialmente sia a livello interno, o di workforce, sia a livello esterno di valore che portano alla società e al contesto in cui sono inserite.

 

Mixando quindi a interessi, pensieri e esperienze individuali questo presupposto si è formata all’interno di Innovation una crew di persone armate di skill differenti e motivate a immaginare come il suono può essere uno degli asset espressivi di un brand, ma soprattutto come si fa a lavorarci su, creando un linguaggio comune tra chi ne sa di brand, chi di co-design e chi di musica.

Il pitch di Riccardo Trabattoni della Crew Supersonic.

Esplorazione, ovvero come la crew Supersonic ha iniziato a capirci qualcosa di audio branding

Come spesso accade qui in Innovation, quando ci imbarchiamo in un’impresa per lande sconosciute la prima cosa che facciamo è esplorare e analizzare un tema con l’obiettivo di disegnarne una mappa che ne chiarisca confini e significati. Così è stato per l’audio branding, dove il primo obiettivo è stato ripercorrerne l’evoluzione storica e giungere a una definizione.

Nei decenni passati, infatti, parlare di suono applicato al brand significava avere a che fare con i jingle, uno strumento di marketing unidirezionale verso i consumatori/spettatori, potenzialmente virale ma anche soggetto a hype e mode temporanei. Con il 2000 però, inizia un decennio di rapida trasformazione portata dai cicli di innovazione sempre più brevi dei media digitali, che vedono la rapida introduzione di smartphone, social network, assistenti vocali e piattaforme di streaming musicale nella vita quotidiana di miliardi di esseri umani. Questo apre campi di gioco completamente nuovi per il branding sonoro come podcast, tecnologie vocali combinate con intelligenze artificiali o suoni UI.

 

La nostra esplorazione ci ha portato quindi a raccogliere ricerche, segnali e case studies — qui un assaggio del report costruito — definendo due cose.

  • All’inseguimento di una nuova generazione di utenti più consapevoli, connessi e protagonisti, le organizzazioni si stanno muovendo sempre di più verso un ecosistema olistico di elementi che deve essere declinato su una moltitudine di touchpoint fisici e digitali che coinvolgano più sensi e portino gli utenti a partecipare, manipolare, sviluppare un senso di appartenenza.
  • Per ottenere successo nell’audio branding, bisogna pensare al suono come si pensa ai visual: applicando rigore strategico e pensiero creativo. Così facendo, il suono diventerà un elemento integrante della visione olistica di un brand — il suo DNA. Un asset spendibile sia verso l’esterno (consumatori/utenti) che verso l’interno (l’organizzazione e le sue persone).

Visione, ovvero come siamo passati dal ruolo di esploratori a creatori di un punto di vista sull’audio branding

Per costruire il nostro punto di vista sull’audio branding non poteva però bastare un’analisi del contesto e dei fenomeni che stanno cambiando la relazione tra suono, brand e consumatori. Per questo motivo abbiamo continuato la nostra esplorazione verso l’esterno andando ad indagare più nel dettaglio opportunità e punti deboli del processo di sviluppo di una sound identity.

 

Abbiamo quindi analizzato diversi paper, intervistato un sound designer (grazie Jacopo!) e ricercato differenti metodologie applicate dagli attori coinvolti nel mondo del suono.

 

Cosa abbiamo capito? In primis che la definizione di un’identità sonora è un’attività che coinvolge diversi stakeholder che non sempre riescono a comunicare in modo efficace tra loro. I sound designer infatti faticano a ricevere delle informazioni chiare dai brand, che spesso non sono in grado di parlare di suono con lo stesso dettaglio e con la stessa terminologia utilizzata dagli esperti — cosa del tutto ragionevole.

 

Serviva quindi individuare un linguaggio comune, un elemento che fosse manipolabile da chiunque e abbiamo così scoperto il Trattato degli oggetti musicali. Il suo autore, Pierre Schaeffer, propone una nuova esperienza di ascolto definita “ascolto ridotto” in cui un individuo, astraendo il suono da ciò che lo ha causato, può concentrarsi sulle sue caratteristiche — l’“oggetto sonoro”.

L’oggetto sonoro di Schaeffer manipolato e unito alle evidenze di altri ricercatori come Vanderveer, 1979; Guyot, 1997; Marcell et al., 2000; Gérard, 2004; Guastavino, 2007; Özcan et al., 2014 ci hanno guidato alla definizione di una “semantica sonora” efficace per avere un punto di partenza rispetto alla costruzione di una metodologia.


Metodologia, ovvero come Innovation può essere un ponte tra due mondi distanti

Nel tempo in Innovation abbiamo sviluppato e acquisito una serie di competenze, strumenti e metodologie per dare identità ai brand e a tutte le loro manifestazioni.

 

A questo panorama mancava però un tassello — quello sonoro e uditivo — e grazie al lavoro svolto, siamo finalmente in grado di indagare le infinite espressioni di un’entità come un prodotto, un gruppo di persone, una startup, un brand, un evento (fisico, ibrido, remoto), un’esperienza immersiva, un chatbot, uno spazio di lavoro ecc.

A seconda della preparazione, disponibilità e consapevolezza del cliente, possiamo utilizzare come punto di entrata una o più dimensioni lavorando in modalità fluida tra i diversi elementi che compongono la brand identity.

 

Ci siamo quindi messi al lavoro per creare il pezzo di metodologia mancante, che abbiamo individuato nel restituire ai brand parte delle evidenze emerse dalla ricerca sulla psicoacustica ed introducendo nel processo di definizione di un’identità sonora degli elementi del branding classico (come valori ed archetipi). In questo modo gli stakeholder del brand in oggetto possono avvicinarsi a categorie e asset che gli sono più familiari, così da prendere scelte sempre più consapevoli.

Con Supersonic abbiamo quindi costruito un ponte di congiunzione tra due mondi apparentemente distanti, disegnando per noi il ruolo di facilitatore dell’incontro tra le esigenze di sonorizzazione dei brand e quelle dei sound designer.

 

Tutto questo ovviamente non è che un’overture dell’opera che abbiamo costruito con Supersonic e dei percorsi audio che possiamo costruire.

Per saperne di più sulla Crew Supersonic:

innovation@h-farm.com