23 Ottobre 2001, il giorno in cui viene lanciato il primo iPod. Un piccolo oggetto in grado di contenere 1.000 canzoni, e che in coppia con iTunes, porta in poco tempo Apple a dominare il 50% delle vendite del mercato musicale. iPod e iTunes contribuiscono così alla rivoluzione della distribuzione digitale della musica, un processo di “dematerializzazione” che comincia ben prima del 2001. Dai vinili alle audiocassette, passando attraverso i CD e arrivando a oggi dove musica è sinonimo principalmente di streaming.
Il rapporto tra fisico e digitale è un tema che caratterizza i nostri tempi, soprattutto dopo che la pandemia ci ha imposto di rivedere l’equilibrio fra queste due parti, con la conseguenza che ora la dimensione digitale sembra avere più spazio e importanza. Oggi per esempio non è più necessario che un oggetto fisico per sua definizione, sia ancora fisico. Non è più fondamentale avere il prodotto finito “da toccare” per riuscire a venderlo, non è più fondamentale avere subito il prototipo di un oggetto o di un abito per valutarne la fattura. Spesso basta solo la sua copia digitale, e così il processo di dematerializzazione vissuto nella musica diventa sempre più una realtà anche in altri settori.
In tutto questo la progettazione 3D gioca un ruolo principale. Una tecnologia che negli ultimi decenni si è evoluta molto in termini di qualità della resa e velocità di realizzazione, tanto che oggi consente di avere un livello di definizione tale per cui è difficile riconoscere la differenza tra prototipi digitale o reali. L’evoluzione nel livello di dettaglio e la qualità dell’immagine sono molto evidenti nel mondo del cinema.
Ormai ci siamo abituati alla precisione che il design 3D è in grado di offrire, e grazie anche ai nuovi ed evoluti software che rendono questa tecnologia più semplice, il suo utilizzo è sempre più diffuso da parte di tipologie diverse di azienda.
Una forte accelerazione del suo impiego è avvenuta per esempio nel settore moda, che in questi anni sta ripensando il processo di progettazione di abiti, scarpe e accessori.
Per capirci meglio, facciamo qualche esempio: cosa significa dematerializzare e digitalizzare il prodotto?
Da casi molto pratici ad altri più visionari ma ciò nondimeno reali, come i capi di abbigliamento 3D acquistati tramite NFT… e mai indossati dal proprietario! The Fabricant, ad esempio, è un’agenzia di digital couture che collabora con molte case di moda nella creazione di capi digitali.
Oggi lo sviluppo di un classico prodotto moda ha un processo lineare che — semplificato — prevede queste fasi: definizione concept, studio materiale/colore, sviluppo prodotto in cui si trasforma lo studio in un prototipo; una volta creato il prototipo inizia la fase di sdifettamento che può richiedere più di un capo da testare. Ottenuto il risultato desiderato si passa al coordinamento con la produzione. Il marketing è l’ultimo step del processo di creazione di un capo.
La digitalizzazione del prodotto richiede di rivedere il processo, da uno schema lineare ad uno schema circolare.
Invece che ragionare in modo lineare, passaggio dopo passaggio, dove ogni step dipende dall’altro, basta sviluppare velocemente il prototipo digitale del capo di abbigliamento. Creato il capo digitale le possibilità sono infinite: si può vedere, ruotare, applicare varie tipologie di colore o materiale in tempo reale, revisionare il capo cambiandone la forma, etc.
Il capo digitale semplifica immediatamente il dialogo tra i vari team e in particolare crea un ponte diretto con il marketing, consentendo ad esempio di visionare i capi in progettazione prima che essi vadano in produzione, facilitando lo sviluppo della campagna di lancio. Nel caso di un capo digitale non tutti i passaggi di sviluppo dipendono dal precedente e non seguendo un percorso lineare, si possono ipotizzare delle scorciatoie o dei processi ridotti.
Anche per digitalizzare è necessario partire con un investimento in tempo e costi, e per capire se questa operazione ha senso è necessario definire cosa viene considerato “valore” per l’azienda. Bisogna valutare con cura il processo di lavoro già in atto e conoscere bene i meccanismi che regolano il lavoro digitale. Questo permette di comprendere concretamente se il valore sta nel prodotto, nella vendita o nella comunicazione.
Se per esempio per ogni capo di abbigliamento ho bisogno di fare almeno 3-4 prototipi, forse il valore di passare al digitale è proprio qui. Posso ridurre il numero dei prototipi e velocizzare lo sviluppo. Nel caso in cui io abbia pochi prodotti ma necessiti di testare tante SKU il valore sta nella possibilità di digitalizzare tutte le SKU, realizzando cataloghi digitali da mostrarle a buyer o clienti finali, senza dover realizzare shooting dedicati.
Il valore generato da un processo di digitalizzazione dipende da innumerevoli fattori che vanno valutati sulle specifiche esigenze della produzione.
Per alcune aziende è un cambiamento ancora in fase di partenza, per altre è già realtà. Ikea è un ottimo esempio di brand che ha saputo sfruttare al meglio questo cambio di paradigma.
Questo è sicuramente un percorso complesso che per essere messo in atto prevede l’intervento in 5 aree fondamentali per la vita e il futuro di un’azienda:
Digitalizzare e dematerializzare il prodotto è un’opportunità per rivedere e snellire i processi di sviluppo ma è anche l’occasione per evolvere diversi aspetti organizzativi dell’azienda. Significa dare vita ad un nuovo approccio lavorativo, ma soprattutto ad un nuovo mindset. Ha senso digitalizzare qualsiasi prodotto per velocizzarne lo sviluppo? Probabilmente no, ma è fondamentale che le aziende riflettano e comprendano qual è il valore concreto che può generare la digitalizzazione, così da poter trarne il maggior beneficio possibile. Ed è importante che lo facciano oggi per evitare di trovarsi impreparati di fronte al cambio generazionale, ma soprattutto al cambio di mentalità dei propri clienti.